Grandi eventi e la moda: perché gli artisti sono vestiti sempre dai soliti noti?

Si è appena concluso il Santo Festival Nazional-popolare della canzone italiana e no, tranquilli, non starò qui a fare inutili pagelle con la penna rossa dando i voti ai look più cool e facendo grosse croci su quelli out! Mi fa così anni 90 (che poi ognuno esprime giudizi e pareri in base alla propria sensibilità, il canone universale non esiste, quindi vabbè). Il mio cruccio, qui, è un altro. In un articolo di Giuliana Matarrese leggo “Il risultato è stato che, più che un palcoscenico, l’Ariston è diventato una italica passerella sulla quale la moda italiana (ma anche straniera) ha passeggiato con un certo orgoglio, ammiccando ad un pubblico che, prima di allora, non si era mai sintonizzato sui canali di mamma Rai per l’occasione.” E ci sta che i marchi si siano convinti che l’esposizione mediatica su quel palco possa essere una buona azione di marketing. La domanda invece, mi sorge spontanea: perché nessun cantante/artista indossa abiti di brand indipendenti/slow e si finisce sempre sulle grandi maison? Andiamo con ordine…

Celebrity, talent e Influencer come strumento di marketing

La Moda si è sempre appoggiata a personaggi “in vista” per moltiplicare il suo messaggio e raggiungere un più ampio pubblico possibile. Luigi XIV è stato uno dei primi trend setter della storia, seguito da Regine e Dame, modelle e prime influencer del regno, incaricate di incarnare lo stile del tempo, essere ammirate e sopratutto imitate da nobildonne e cortigiane. Il resto è storia e non ve la farò così lunga, ma il gioco è chiaro: testimonial del mondo cinematografico, televisivo e musicale sono sempre stati ingaggiati dai brand come loro messaggeri. Ad aggiungersi in questo panorama anche figure uscite dal mondo social, dalle ormai antiquate fashion blogger fino a più contemporanei Tik-Tokker ed Influencer varie. È un modo per creare una connessione tra brand e pubblico, utilizzando l’esposizione mediatica di questi personaggi ed artisti (per questo motivo andrebbero scelti con cura), principalmente durante eventi speciali: dai red Carpet di Venezia fino a quelli della notte degli Oscar, passando dal Met Gala agli MTV Awards…fino a Sanremo! Ebbene sì, quella scalinata che fino a qualche tempo fa era stata snobbata, adesso è un punto che fa gola a marchi e anche ai cantanti stessi (dopo un momento di stallo dei concerti e della musica dal vivo, anche i musicisti hanno visto nella moda un modo per guadagnare, diventando di fatto “volti” di un brand: basta pensare al caso Achille Lauro con Gucci…che poi, zitti zitti, si sono andati ad acchiappare pure i Maneskin 😉 ).

Come si incontrano brand&artisti: pr, stylist & co.

Partiamo da un dato di fatto: quasi tutti gli artisti (dove qui ci mettiamo attori, cantanti, personaggi radiofonici, della tv e dello spettacolo, ma anche scrittori, sportivi ed influencer di varia natura) sono rappresentati da agenti e manager (eh, mica fanno tutto da soli!!!) e di solito dispongono anche di un ufficio stampa dedicato. Nel nostro Paese le agenzie sono diverse, ma più o meno “nel settore” si conoscono un po’ tutti. Ecco perché principalmente è un gioco basato sulle antiche PR, relazioni pubbliche, amicizie, conoscenze, chiacchiere agli aperitivi milanesi…Ed in questa jungla di persone che si muovono per promuovere Questo o Quella, sono arrivati anche gli Stylist. O meglio, la figura dello stylist è una figura che vediamo da tempo immemore nelle redazioni delle riviste di moda, responsabili delle combinazioni di capi e look proposte negli editoriali. Usciti dalle redazioni, i celebrity stylist sono coloro che si prendono cura dei look dei propri clienti da sfoggiare in tutte le apparizioni pubbliche, cercando di creare uno stile riconoscibile che rappresenti l’evoluzione della carriera e dello status della star. Lo stylist è la figura chiave, il tramite tra le case di moda e le celebrità (reali o wanna be).  Sono degli abili costruttori di immagine, furbi connettori tra brand e persone, che nel tempo sono riusciti a far emergere svariate figure, tanto che spesso gli stylist diventano “famosi” quanto i loro clienti (ecco perché poi si fa la corsa anche ad accaparrarsi lo stylist più bravo del momento).

Non è un mestiere semplice, ci vuole gusto, creatività e anche una bella dose di sfacciataggine ed essere un bel pr. Molti stylist lavorano per grandi agenzie che offrono tutte le figure necessarie alla creazione di un personaggio: dal make-up artist, all’ hairstylist, fino ai fotografi, che vengono definiti loro stessi “artisti”. Insomma, nulla è lasciato al caso. Ecco perché a finire sui palchi e sui carpet degli eventi ci sono combinazioni frutto di idee precedentemente studiate da persone che calcolano ogni dettaglio in base al risultato sperato. E anche in base al fattore economico economico (nessuno, fino a qui, ha lavorato gratis, e sì, gli artisti prendono soldi dai brand)!!! E tutti, qui, lavorano per la loro immagine: lo Stylist Gigetto Fashionetto che riesce a vestire Lola La Strappona con un total look Dior (se ha fatto un buon lavoro) è Figo! Ci siamo capiti?!? 😉

Il problema dei “soliti noti”

È quasi automatico che gli Stylist si rivolgano alle grandi case di moda. Sono più prestigiose, più in vista, più autorevoli ed anche economicamente più appetitose. Se un artista, oltre a vestire un brand per un evento, ne diventa anche testimonial per una campagna, iniziano a girare diversi soldi. Per tutti. E si torna sempre lì: si va sempre a finire dove gira il cash!!! Un meccanismo difficile da interrompere, perché tutto funziona alla perfezione e perché, diciamoci la verità, chi è che si prenderebbe la briga di scommettere su emergenti dotati di talento ma di poche finanze? Quale sarebbe il vantaggio?

Indubbiamente per fare il “talent scout” ci vuole occhio lungo e anche una buona dose di coraggio. Per supportare chi veramente ha bisogno di supporto e non è inserito nel “giro giusto” ci vuole una sorta di illuminazione, quasi una vocazione direi io, che non è da tutti. Eppure il poter degli stylist e degli artisti è importante al fine della percezione dei marchi (e dell’approccio alla moda). O insomma, aiuta! Ecco perché, per come la vedo io, anche queste figure sarebbero fondamentali per il cambiamento del sistema in una direzione più slow. O comunque per mostrare l’altra faccia della medaglia, che la moda non é solo fatta di grandi marchi o fast fashion.

Sfidare un le convenzioni e puntare su altri tipi di brand, quelli che stanno realmente innescando un cambiamento, è una bella scommessa anche per stylist&co. Ovvio che c’è quel delizioso scoglio economico da superare. Non fraintendiamo, nessuno ha la pretesa che il lavoro venga fatto in maniera gratuita, ma ci vuole un investimento, un po’ di ricerca e la voglia di fare davvero la differenza.

È un po’ quello che è successo quest’anno per Dargen D’amico, uno dei pochi a sfoggiare look speciali cuciti addosso per lui da una serie di brand emergenti selezionati per lui dallo stylist Giulio Casagrande. Alessandro Vigilante, Federico Cina, Wayerob e Canaku. Nomi poco noti al grande pubblico, alcuni più noti ad una nicchia di attenti al settore (Federico ha vinto il LV Price nel 2019), alcuni comunque rappresentati già da Showroom e tutti con l’appoggio della signora Sara Sozzani Maino (head of special projects di Vogue). Emergenti sì, ma del circolo giusto. Alternativi ma ben inseriti 😉 Ma se uno il giro non ce l’ha, come fa a farsi vedere?!? …

Ho apprezzato molto la scelta di Drusilla Foer, quella di avere un paio di abiti confezionati ad hoc dalla sartoria Rina Milano di Firenze, mentre gli altri facevano parte del suo archivio personale. “Drusilla in conferenza stampa ha affermato infatti quanto sia importante attingere al proprio guardaroba per evitare sprechi scegliendo abiti che durino (davvero) per la vita.” E aggiunge “Dobbiamo far passare il segnale che l’economia italiana deve ripartire dal basso, dalle sartorie, dagli atelier piccoli“. Ed io non potrei essere più d’accordo…

Ripartire dal basso…ma a modino (una bacchettata ai piccoli)

Ripartire sì dal basso, ridare lustro ai piccoli brand, alle sartorie, all’artigianalità e ai designer indipendenti che si prendono rischi e impegni per dire la loro in una maniera differente: bisogna trovare il modo per far vedere che “l’altra moda” esiste. Ed è Moda con la “m” maiuscola. Per fare ciò, però, anche i più piccoli devono metterci del loro: essere tecnicamente bravi o molto creativi ma non saper comunicare il proprio lavoro è davvero contro-producente (fare dei capi stupendi e fotografarli con il telefono nel giardino di casa con il secchio della spazzatura in sottofondo, per esempio). Essere piccoli ma con lo spirito grande. Essere indipendenti ma con un approccio imprenditoriale professionale. Solo così si riesce ad essere credibili e riuscire ad intercettare gli sguardi anche di quegli stylist o fashion editor che potrebbero far fare il salto. Ammesso che in Italia (a parte noi del team di Weave Magazine, rivista interamente dedicata alla slow culture) ci sia qualcuno disposto veramente a scommettere sui nuovi ignoti…;)

Se c’è qualcuno pronto a scommettere, si faccia avanti. Io ho in mente un paio di piani…e conosco anche svariati brand a disposizione!

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